La Transumanza: Storia, Civiltà, Cultura
Prolusione all’apertua dell’ Anno Accademico dell’Università di Bari
del prof. Orlando Montemurro
riportiamo, suddivisa in 3 parti, per ragioni di spazioquesta dotta e
interessante relazione
Parte I
Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
G. D’Annunzio
……parlare di transumanza alla fine del ventesimo secolo deve farci pensare che il ricordo di alcuni caratteri di quella civiltà del lume ad olio da parte di chi vive in piena epoca di viaggi planetari e di raggi laser è quanto mai utile perché, solitamente, si è portati a giudicare la transumanza solo come l’ambiente dei pastori e delle greggi che transitavano attraverso i tratturi, le vie di un mondo che non ha avuto mai niente a che fare con noi, col resto della società civile. Ma non è così. Questa, invece, ha rappresentato fenomeno molto articolato e, purtroppo, difficilmente riportabile ad uno schema semplice. Al di là di un fatto economico legato all’allevamento delle pecore ed alla vendita dei suoi prodotti, rappresenta tutto un mondo vario e poliedrico che esprime mentalità, tradizioni, costumi, aspetti naturalistici, storici: è cultura. È cultura che va dalla politica alla religione, dall’economia all’arte: è cultura che incide su di noi. La “transumanza” (dal latino transeo: trasferimento alternato di greggi transumanti), è considerata una forma di vita e di attività pastorale comprendente la sola specie ovina, con ritmici movimenti stagionali: da 4 a 5 mesi in montagna, ove il bestiame pascola nella stagione primaverile-estiva, e in pianura dove si ferma durante l’autunno-inverno. Il suo termine era largamente usato in quasi tutte le lingue “romaniche” ma nella letteratura scientifica, secondo Sprengel’, esso apparve con Biade nel 1892. Da allora molti ne hanno scrutato tutti gli elementi di contenuto e di forma sotto i vari profili agro-economico, socio-geografico, socio-culturale.
Sotto l’aspetto economico, Beuermann la definisce come “forma di economia che cambia sede in certi periodi di ogni anno, che poggia sulla proprietà del gregge e il suo sfruttamento diretto, orientato prevalentemente all’economia di mercato”‘.
Nel IV secolo a.C. man mano che si accentua il filone naturalistico nato con gli atomisti, in particolare con Democrito, ed Aristotile da impulso all’interno della propria scuola alle opere di carattere botanico e biologico (di lui sono a noi pervenute molte notizie sugli animali), nella Roma primitiva il carattere pastorale e silvestre si manifesta e si afferma e ciò veniva espresso e sottolineato sin dai primi secoli e ribadito poi in età tardo-repubblicana ed imperiale, oltre che da Varrone, da Ovidio (“Fasti” V, 279 e segg.), da Plinio (“Nat. Historia” XXXIII, I) e da Cominella2. Non deve, pertanto, destar meraviglia se diversi Autori latini, dal II sec. a.C. al II sec. d.C. ed oltre, abbiano di fatto attinto per le loro opere all’inesauribile serbatoio della storia delle origini. Tuttavia la transumanza, pur se realizzata sin dalla preistoria, ha una propria documentabilità che si può far risalire solo al III sec. a.C. quando le crisi delle strutture agricole del Sud, indotte dalle guerre annibaliche, portarono alla formazione del latifondo che non poteva essere che destinato all’allevamento della pecora.
Le regioni sedi di pastorizia transumante erano prevalentemente sparse in tutta l’Europa meridionale e mediterranea: Spagna, Francia, Svizzera, Germania meridionale, i Carpazi, i Balcani. A queste aree va aggiunta, tra le prime, l’Italia ove la transumanza ha interessato il Lazio, con migrazioni tra la campagna romana ed i monti Sibillini e, in modo prevalente, l’Abruzzo, la Puglia, il Molise, la Campania e la Basilicata. Anche se limitata a pochi territori caratterizzati da pianure a clima mite ed umido d’inverno, fiorite in primavera, e verdi prati durante l’estate, esprime il suo più accentuato fenomeno in Spagna ove la transumanza, che aveva origini antichissime risalenti all’Impero Romano, veniva realizzata con una grandiosa organizzazione: la “Mesta” o “Meseta” durata ben cinque secoli (dal 1273 al 1836).
In Italia, invece, svolge il suo “dominio” tra Campagna Romana e l’Appennino Umbro-Marchigiano, ma principalmente tra il Tavoliere delle Puglie ed i massicci montuosi dell’Abruzzo e del Molise e poi ancora interessa la penisola Garganica, quella Salentina, il Bassopiano Metapontino, i massicci del Matese, con la pianura Campana. Questo grandioso spostamento di uomini ed animali nelle epoche primordiali avveniva senza limiti di spazio e di tempo e pare che solo nella età del Bronzo (II millennio a.C.) l’uomo avvertì la necessità di regolamentare i rapporti tra tribù e stirpi diverse per quanto riguardava l’uso dei pascoli. Per questo motivo i monti dell’Appennino Centro Meridionale divennero il punto naturale di incontro tra gli insediamenti umani del Tirreno, dell’Adriatico e dello Jonio, raggruppati tutti nella cosiddetta ‘ ‘ Civiltà Appenninica’ ‘. La pastorizia transumante dall’Abruzzo alla Puglia e viceversa, pur essendo più antica di Roma, non ci ha lasciato nulla di certo dell’epoca pre-romana. Si suppone che alcune popolazioni antiche della montagna (Sabini, Vestini, Marrucini, Marsi, Peligni, Frentani ed altri) e della pianura pugliese (Appuli, Dauni, Messapi ed altri) abbiano praticato una certa pastorizia nomade non organizzata. Le prime notizie documentate si hanno a partire dalla fine della Repubblica. Secondo Strabene3, infatti, finita la seconda guerra punica. Roma tentò, principalmente in Puglia, il recupero di molte terre abbandonate e, individuate tante unità agrarie sino a 250 ettari, ne cedette l’uso contro il pagamento di un canone ma senza l’acquisizione del diritto di proprietà da parte degli assegnatari. Altre testimonianze a noi vengono da Columella, da Catone, da Virgilio, da Cicerone; di quest’ultimo si ricorda ad esempio la prò Cluentio nella quale si fa riferimento ai danni che i pastori avevano praticato a danno di Cluentio di Larino nei terreni ubicati lungo il tratturo pugliese; e ancora da Plinio il Giovane che, in una sua lettera del I sec. d.C., parla dei “multi greges ovium” che ammirava nel corso dei suoi viaggi da Roma alla Puglia. I territori confiscati dell’Impero furono trasformati in terre pubbliche (ager publicus), dichiarate salde (saltus) e destinate a pascolo.
E Mommsen, nei suoi studi su Roma antica, spiega la fiscalità romana come una scelta di politica economica del potere pubblico per avere più solido e ricco l’erario, di qui la propensione ad estendere le terre a pascolo con lo scopo di vedere aumentati i capi di bestiame e quindi i tributi riferiti ad ogni capo
4. ‘ Sprengel U. – La pastorizia transumante nell’ambiente dell’Italia centro meridionale. Marburg 1971.
2 D’Orazi Lotti Fiorella – L’allevamento degli ovini e dei caprini nella letteratura classica, (di prossima pubblicazione in Atti dell’8° Congresso Nazionale
SIPAOC -Viterbo).
3 Strabene – Geografica – libro 6, III, 11.
4 Theodor Mommsen – Storia di Roma antica – libro III, cap. XII. Roma 1890.
Nel 111 a.C., promulgata la Legge Agraria Epigrafica che sancì la regolamentazione dei percorsi lungo i quali si effettuava la transumanza (calles publicae), venne a crearsi la disponibilità di immensi pascoli. Si stabilì, quindi, che i pastori dovevano pagare una tassa, il “Vettigale” (Vectigal o Scriptura), in proporzione al numero degli animali che godevano l’uso dei pubblici pascoli, mentre potevano transitare gratuitamente lungo le vie pubbliche. Queste regole, chiamate inizialmente “Tavole o Leggi Censorie”, vennero successivamente dette “Tractorie” nei codici di Teodosio e Giustiniano, in seguito “tracturi” e quindi “tratturi”.